La Napoli di Jingquan Jia, Maestro d’integrazione e di Taijiquan
“Manca un meccanismo politico-sociale che permetta ai cittadini stranieri che vivono in Italia di entrare a far parte a pieno titolo della sua società.”
Non ha dubbi Jingquan Jia, Maestro di Taijiquan, Qi Gong e Tuina – pratiche terapeutiche della medicina cinese, che hanno origine dalle arti marziali e da quella curativa del massaggio tradizionale. Presidente dell’Associazione di sport e cultura italo-cinese Tuhe e Segretario Generale dell’Associazione di Commercio della comunità cinese di Napoli, il Maestro Jingquan Jia non parla solo a nome dei suoi connazionali cinesi ma, grazie all’esperienza e all’autorevolezza acquisite nell’arco di tanti anni, ragiona oltrepassando i confini delle nazionalità.
Jingquan Jia si esprime per quella parte di popolazione italiana che, per il solo fatto di avere le proprie origini fuori dal Paese, spesso si trova a vivere ai margini di una società evidentemente non ancora in grado di fornire strumenti politici e sociali di integrazione.
Nonostante le difficoltà, a prescindere da origini lontane, fisionomie e colore della pelle, coloro che spesso noi vediamo come stranieri si sentono in tutto e per tutti italiani.
“Ho un amico cinese che ha gestito un ristorante qui a Napoli per vent’anni – racconta il maestro Jingquan Jia – Poi si è trasferito a Padova. La settimana scorsa sono andato a prenderlo in stazione e, appena è sceso dal treno, il suo viso si è illuminato. Mi ha detto che per lui essere a Napoli significa tornare a casa, che la sensazione di empatia che ha provato appena sceso dal treno si spiega con l’attaccamento a un posto che per vent’anni gli ha dato tutto: lavoro, accoglienza, calore. In cambio di cosa? Soprattutto, ma non solo, di un fortissimo investimento emotivo.”
“Le seconde generazioni si sentono italiane, ma cosa fa la politica per accoglierle?”
Da dietro la scrivania del suo ufficio, situato nel quartiere collinare del Vomero, il Maestro comunica il coinvolgimento nel suo lavoro, che lo investe della responsabilità di fungere da ponte tra culture: quella cinese, quella napoletana e quella italiana. Alle pareti sono affissi poster dei moltissimi eventi organizzati a Napoli e in tutta Italia dal 1995, quando partì dalla provincia cinese di Henan insieme alla moglie e al suo primo figlio e, dopo aver lavorato in un ristorante cinese, cominciò a svolgere la sua professione di Maestro di wushu (il termine che indica genericamente le arti marziali cinesi).
“Ho studiato filosofia a Zhengzhou, poi mi sono specializzato nell’insegnamento del Taijiquan. Appena arrivato in Italia, ho avuto delle difficoltà: la lingua era troppo diversa e ostica da imparare, non ero abituato al vostro cibo – ho cominciato a mangiare formaggio solo dieci anni dopo il mio arrivo (in Cina non lo mangiamo ma se si vive in Italia è necessario abituarsi) – e, dopo aver lavorato in un ristorante e in diverse palestre, ho aperto questo centro nel 2001. Ora ho tre figli che si sentono napoletani, soprattutto i due che sono nati qui.”
Il Maestro Jingquan Jia è molto benvoluto dai suoi studenti napoletani, come dimostra questo testo dedicatogli dalla sua allieva Silvana:
Ajére m’aggio fatto nu balletto, e taigì ciuàn, taigì ciuàn; ‘o masto ch’è cinese mi dicette: nun ‘e a pensà. Si ‘a capa nun è libera e vacante nun può abballà, nun può abballà. Si ‘e mane o piére toie so pesante, te a allentà, te a allentà. […] Se n’è sagliuta, òi né, se n’è sagliuta, la capa già, la capa già. E’ ghiuta, po’ è turnata, e po’ è venuta, sta sempe ccà, sta sempe ccà. La capa vota vota attuorno, attuorno, attuorno a te, attuorno a te. Llo core canta sempe nu taluorno: nun fa pe me, nun fa pe me. […] O masto, che cunosce l’alfabeto, si chiama Già, si chiama Già, o pere votte annanze e a mana arreto, senza sbaglià, senza sbaglià; i’ votto o pere arreto e a mana annanze, nun c’è speranza nun c’è speranza, ma isso dice che co tiempo cagno e i’ nun chiagno, e i’ nun chiagno.
Il Maestro Jingquan Jia ha organizzato numerosi eventi sportivi, culturali e artistici. Tra questi, due convegni di medicina cinese e occidentale sull’argomento “Psiche e Dolore”, a Napoli e Caserta nel 2002; ha lavorato con il Comune di Napoli alla stipula di un protocollo d’intesa per un gemellaggio tra la città di Napoli e quella di Zhengzhou nel 2007; nel 2009 ha fatto da mediatore per la firma di una lettera d’intenti per scambi di amicizia tra la regione Campania e quella di Henan; nel 2011, in occasione dell’anno della cultura cinese in Italia, ha organizzato una mostra di pittura e calligrafia cinese a Castel dell’Ovo e una manifestazione di Taijiquan in Piazza del Plebiscito.
“Differenze e incomprensioni superabili se i problemi vengono affrontati.”
“Oggi a Napoli ci sono circa 20mila cinesi”, continua Jingquan Jia, “quando sono arrivato qui erano tra i 200 e i 300. C’erano dieci ristoranti cinesi e tre negozi in tutta la città. I giovani hanno meno problemi a integrarsi, vanno a scuola con i ragazzini italiani e imparano in fretta la lingua, riuscendo a entrare nei meccanismi e nella cultura della società italiana. Per gli adulti invece l’integrazione è problematica.”
Secondo il Maestro “ci sarebbe la necessità di un ufficio, come per esempio un assessorato sociale gestito dal Comune, che funga da riferimento per tutti gli stranieri e che li istruisca sulle norme e i costumi italiani. Spesso sorgono incomprensioni e scontri semplicemente perché gli immigrati continuano a fare cose che nel loro Paese sono normali e qui risultano strane o sono addirittura fuorilegge.”
Anche i giovani spesso vivono situazioni problematiche “e, se per qualche motivo non riescono a integrarsi, la sensazione di ‘rimanere esclusi’ può facilmente portare i ragazzi a sviluppare una forma di rifiuto psicologico a integrarsi. Questo non è un problema da poco: è importante per tutti noi e per il futuro dell’Italia che i nostri giovani capiscano che i loro sforzi di integrazione, la loro ricerca di un lavoro, il loro studio e tutto il loro impegno porti a qualcosa, alla prospettiva di poter dare un contributo per migliorare la società. I politici dovrebbero rendersi conto che una grossa fetta della popolazione italiana, soprattutto i giovani, è costituita da ragazzi di seconda e terza generazione.”
“I napoletani sono buoni, gentili, trasmettono amicizia e accoglienza”, sostiene Jingquan Jia con affetto. “La mia sensazione è che abbiano un calore che viene da dentro. Non fingono. Se ci sono delle difficoltà, sono sempre pronti ad aiutare chiunque.”